Il museo vicariale di San Casciano raccoglie dipinti, sculture, arredi e paramenti sacri che provengono dai luoghi di culto dell'intero territorio comunale (pievi, parrocchie, oratori), fornendo una preziosa documentazione della tradizione artistica e della storia locale, che mostra come la cultura e le manifestazioni del gusto in quest'area non si siano mai esaurite in esperienze provinciali, ma siano state sempre aperte e partecipi degli avvenimenti di una più ampia circolazione di
idee.
In epoca medievale San Casciano è stato un nodo viario molto importante, poichè da qui passavano due strade che nel corso del Duegento, con l'imporsi di Firenze come fulcro economico e politico dell'Italia centrale, si affermarono addirittura sulla
Francigena: quella che da Firenze scendeva verso la Val d'Elsa, raggiungendo poi
Volterra, e la cosiddetta "Strada Romana del Chianti", che dopo aver attraversato
San Donato in Poggio e Castellina arrivava a Siena e a Roma. In questo stesso periodo, ancora entro il secolo XIII, il potere civile esercitato sul borgo dal Comune di Firenze subentrò a quello temporale dei vescovi, che avevano la signoria su queste contrade, e dal momento in cui fu anche fortificato (il che avvenne solo alla metà del secolo successivo) il castello diventò un baluardo difensivo della città gigliata, soprattutto contro le scorrerie
senesi.
La rilevanza strategica che ebbe San Casciano sia dal punto di vista militare che delle comunicazioni stradali si affianca all'interessante ruolo che deve aver occupato nella vita culturale e artistica del contado, come attestano importanti opere pittoriche, molte delle quali riunite nel Museo d'Arte Sacra, testimoni del fatto che in questi luoghi, lungo le direttrici principali del traffico commerciale, sia avvenuto il contatto fra le due più importanti scuole toscane: hanno lavorato qui esponenti di rilievo della pittura fiorentina fra XIII e XIV secolo, quali Coppo di Marcovaldo (Dossale con San Michele Arcangelo e storie della sua leggenda, Museo d'Arte Sacra), Lippo di Benivieni (Madonna col Bambino, Musea d'Arte Sacra) e il Maestro del Trittico Horne (Madonna col Bambino, Museo d'Arte Sacra) e vi hanno lasciato opere importantissime alcuni fra i protagonisti del Trecento senese, come Simone Martini (Crocifisso, chiesa di Santa Maria sul Prato), Ambrogio Lorenzetti (Madonna col Bambino, Museo d'Arte Sacra) e Ugolino di Nerio (Madonna col Bambino in trono, San Pietro e San Francesco, Chiesa di Santa Maria sul
Prato).
Madonna of Vico l'Abate 1319
Il museo è ospitato nella chiesa di Santa Maria del Gesù, situata su una delle principali direttrici urbane, ancora aperta al culto, anche se non regolarmente officiata. L'edificio è introdotto da un portico a tre arcate, è a navata unica, coperta a capriate e conclusa da una scarsella rettangolare, cui si accede attraverso un arcone a tutto sesto impostato su cornici aggettanti. A sinistra del presbiterio si trova una cantoria sostenuta da mensole di pietra e ai lati dell'aula sono appoggiati due grandi altari seicenteschi. L'aspetto attuale della chiesa non è quello originario, ma il risultato del radicale restauro intrapreso fra il 1951 e il 1952 per riparare i gravissimi danni causati dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, dai quali si salvarono solo la sacrestia, i muri laterali e i due
altari.
Le origini del luogo di culto risalgono alla metà del secolo XV, quando Giuliano Castrucci fece erigere per i francescani in pellegrinaggio che passavano da San Casciano un ospizio con annessa una cappella, che doveva corrispondere a quella che ora è la sacrestia. Quando, nel 1492, i frati si trasferirono nel nuovo convento fuori dalle mura, opera anch'essa finanziata dallo stesso munifico Castrucci, il vecchio ospizio fu convertito in monastero, intitolato a Santa Chiara e concesso alle clarisse, che lo abbandonarono nuovamente dopo neanche quarant'anni, determinandone così il decadimento. Fu Francesco Paolsanti Lucardesi, segretario del granduca Francesco I, a curare all'inizio del Seicento il restauro generale del complesso, che volle dedicare a Santa Maria del Gesù e che cambiò completamente struttura, carattere e stile: vennero ingranditi sia il convento, che ospitò le monache benedettine, sia la chiesa, ortogonale alla primitiva cappella, con forme del tutto simili a quelle recuperate dall'intervento novecentesco ma di dimensioni un po' maggiori, poichè in lunghezza copriva anche la superficie dell'attuale porticato. L'edificio conobbe ancora un periodo di abbandono, dalle soppresioni napoleoniche del 1810 fino al ritorno dei Lorena, e le funzioni religiose vi ripresero solo nel 1825, quando fu affidato alla Compagia del Suffragio, che tuttora si occupa del
culto.
Oggi l'ingresso della chiesa coincide con quello del museo, la cui prima sezione è allogata proprio fra gli altari dell'ampia aula rettangolare. Nel rispetto della sua funzione di luogo di culto, all'interno dell'edificio sono rimaste le opere originarie: sull'altare a destra è una copia seicentesca della Pala Pucci del Pontormo, su quello a sinistra una Crocifissione pure del secolo XVII e sull'altare maggiore è stata ricollocata la Madonna col Bambino di Lippo di Benivieni, riferita al secondo decennio del secolo XIV, che aveva questa stessa posizione al tempo della ristrutturazione del
Lucardesi.
Il crocifisso ligneo nell'abside, opera trecentesca di scuola senese, fa parte dell'allestimento museale, che prosegue lungo le pareti della chiesa. A destra, vicino all'ingresso, c'é una copia cinquecentesca della Madonna Pinti di Andrea Del Sarto e più avanti, oltre l'altare, si trova un dipinto che rappresenta Sant'Antonio Abate, San Sebastiano e San Rocco, databile entro il secondo decennio dello stesso secolo e attribuito al cosiddetto Maestro di Tavarnelle, un pittore la cui identità è ancora controversa e che trae il nome dalla pala d'altare conservata nel Museo d'Arte Sacra di Tavarnelle Val di Pesa, divenuta il punto di riferimento per tutte le altre opere riferite a questa stessa personalità
artistica.
Il quadro che segue è un'Incoronazione della Vergine fra angeli e santi dipinta fra il 1476 e il 1481 da Neri di Bicci, prolificissimo artista fiorentino, nella fase tarda della sua carriera, e a destra dell'altare, in un piccolo spazio che precede la sacrestia, è collocata una scultura in marmo policromo raffigurante la Vergine col Bambino, datata 1341 e attribuita sulla base di un'iscrizione sul piedistallo ad un artista noto come Gino
Micheli.
Nella sacrestia vecchia adiacente alla chiesa si trovano le opere più preziose del museo, prime fra tutte i due dipinti provenienti dalla chiesa di Sant'Angelo a Vico l'Abate: il dossale con San Michele Arcangelo e storie della sua leggenda, attribuito a Coppo di Marcovaldo e riferito al quinto decennio del XIII secolo e la Madonna col Bambino di Ambrogio Lorenzetti datata 1319, entrambi collocati sulla parete destra. Nella stessa sala sono riunite tutte le tavole a fondo oro, la più antica delle quali è una Madonna col Bambino che risale al secondo decennio del XIV secolo ed è attribuita al Maestro del trittico Horne, un pittore anonimo fra i minori del Trecento fiorentino, ma dotato di una sua spiccata personalità. Di particolare interesse è la Madonna col Bambino di Cenni di Francesco, uno degli esponenti più significativi del tardogotico toscano, il cui stile è caratterizzato da un tono narrativo e da una straordinaria vivacità cromatica ed
espressiva.
Lungo le pareti si incontrano ancora: la Madonna col Bambino fra angeli e santi di Maestro Francesco, il trittico con la Madonna in trono fra quattro santi del Maestro di San Jacopo a Mucciana, la Madonna col Bambino di Jacopo del Casentino e il Crocifisso trecentesco attribuito al Maestro di San Lucchese, sagomato all'inizio del Quattrocento. Sull'altare è rimasta la tela originaria di Giovan Camillo Ciabilli con il Martirio di Santa Lucia (fine del secolo XVII) e al centro della sala si trova il fusto scolpito in alabastro di epoca romanica proveniente dall'oratorio della Pievevecchia di Sugana e attribito all'anonimo Maestro di
Cabestany.
La visita si conclude nella sala al piano superiore con la sezione dedicata agli arredi liturgici e ai parati. Il gruppo di suppellettili con la collocazione cronologica più alta, fra il XIV e il XV secolo, comprende un turibolo a forma di tempietto e una serie di cinque croci astili, che ripetono con poche varianti lo schema iconografico tradizionale, con la Vergine e San Giovanni sulla parte anteriore, ai lati del Cristo, e i quattro evangelisti sulle formelle posteriori, diversamente rappresentati accanto ai loro simboli o in vesti zoomorfe. Segue un folto numero di calici, pissidi, turiboli, navicelle, reliquiari e candelieri, databili fino al XIX secolo, alcuni dei quali di foggia elegante e ottima fattura, recanti spesso la data di esecuzione, il nome del committente o i punzoni delle botteghe di
provenienza.
Sono da segnalare infine le vetrine che espongono i paramenti sacri, una ricca collezione di piviali, pianete, tonacelle e paliotti d'altare di epoche, materiali e manifatture diverse. Gli esemplari più antichi sono rappresentati da due pianete di manifattura fiorentina, datadili fra XV e XVI secolo, una pianeta damascata e l'altra in seta, decorate con il tipico disegno del fiore di cardo racchiuso da volute fitomorfe, ampiamente documentato sia da frammenti di tessuto dell'epoca, sia nell'iconografia pittorica. La maggior parte dei parati appartiene al XVIII secolo e fra questi merita uno sguardo in più il raffinato piviale di manifattura francese in gros di seta broccata, con delicati motivi decorativi giocati sui toni del rosa pallido, un disegno e un tessuto destinati quasi certamente ad uso profano, forse per la realizzazione di un abito
femminile.
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